Modellare, modificare, trasformare, educare, lavorare sono tutti verbi che si usano quando si interviene su una pianta che cresce spontaneamente in natura o in vivaio per farne un bonsai. Il bonsaista è come lo scultore:
entrambi ottengono una forma definita partendo da un idea e da un materiale artisticamente amorfo, la pianta il primo, il blocco di marmo il secondo. Quando si riesce a materializzare quello che era solo un pensiero, il risultato è emozionante sia per l’artista che per l’osservatore.
Per me lavorare l’olivo è cercare di riprodurre ricordi (precedente articolo “Pensieri, ricordi e alberi”). Copiare la natura è difficile perché la sua opera è una lenta armonica, costruzione nel tempo, il mio invece è solo un timido tentativo di imitazione.
Quando mi capita di tornare dalle mie parti, in Puglia, vado a trovare il mio amico Germano perché da lui qualche pianta che mi interessa la trovo sempre.
Esempio 1
Il materiale di partenza può essere di questo tipo, sicuramente non è incoraggiante.
Il primo passo per me è quello di tornare in quei campi che conosco e cercare con la mente una forma, un indizio, un dettaglio, per creare un’ immagine che poi cerco di trasferire al materiale che ho a disposizione, in modo che il mio futuro bonsai sia una possibile rappresentazione di quelle piante. Con un materiale di questo genere posso immaginare un olivo adulto (70/80 anni), ma non secolare: devo quindi ottenere una pianta con una ramificazione sviluppata e una massa verde importante. Ho iniziato applicando il principio che suggerisce di eliminare tutto quello che sicuramente non rientra nel disegno ideale del bonsai; pertanto, ho eliminato i due monconi presenti all’apice della pianta, non essendo utilizzabili. Dopo questa operazione ho atteso che si sviluppasse la massa verde. Attraverso vari stadi di lavorazione, sia sul tronco che sul verde, sono passato dalla condizione iniziale a quella della foto sottostante che non può essere definita dirittura d’arrivo ma un buon viatico.
Mettendoci un pizzico di presunzione, a mio avviso, il risultato ottenuto è buono, mi incoraggia, ma il cammino non è ancora concluso.
Altra essenza accattivante è quella che chiamiamo “olea oleaster” (denominazione scientifica) o semplicemente olivo selvatico o olivastro (denominazione comune). Lo troviamo che vegeta nella macchia mediterranea, insieme al lentisco, al rosmarino, al timo, al leccio, al fico ed altro. L’olivo selvatico è un’essenza fascinosa, vive nella macchia ma sopravvive anche in posti aridi e pietrosi, sui muri a secco e nei fossi che costeggiano le strade di campagna perché è forte e si adatta. La foglia piccola, il tronco rugoso e vecchio, sono elementi irrinunciabili per creare un bonsai importante e l’oleaster ha tutto questo.
Vi presento una delle mie esperienze con l’oleaster che considero abbia prodotto un risultato soddisfacente anche se come al solito il cammino non è ancora concluso, ma con il bonsai il cammino non è mai concluso.
Esempio 2
Situazione di partenza a lavorazione già iniziata.
Le foto mostrano il fronte ed il retro della pianta. L’unica parte verde presente, sono 2 polloni che nascono alla base del tronco e non avendo altre possibilità dovrò utilizzare quelli, in compenso ho una base importante.
fronte del futuro bonsai
retro del futuro bonsai
Anche per questa pianta non avevo un progetto da seguire ma un pensiero, un’ immagine un ricordo. Ho iniziato le lavorazioni sulla base utilizzando quasi sempre la sgorbia, pochissimo la fresa. Per ottenere un legno simile a quello eroso dal tempo, dalla pioggia dal sole, dal freddo, dalle muffe, dai parassiti e anche dagli interventi dell’uomo, si deve intervenire in modo che l’azione dell’attrezzo nel legno non sia subito aggressiva ma graduale e delicata, così che incavi e rilievi siano raccordati molto dolcemente.
stato attuale – fronte del bonsai
stato attuale – retro del bonsai
Con la fresa è più difficile ottenere questo raccordo, il materiale asportato dipende dal tipo di utensile, dalla velocità e dalla potenza dell’attrezzo; con la sgorbia invece si può graduare la forza, aumentare o diminuire la profondità del segno e utilizzando sgorbie di diversa grandezza si possono ottenere segni più grandi o più piccoli, naturalmente sia in incavo che in rilievo. Facendo pratica si possono ottenere risultati soddisfacenti ma (e ripeto ma), questo tipo di attrezzo richiede un buona esperienza e molta attenzione, insieme a guanti di protezione efficaci (del tipo a maglia di acciaio che usano i macellai) e occhiali, perché durante la lavorazione l’attrezzo può “scappare” dal legno e colpire parti del corpo non protette con conseguenze molto gravi. Lavorare il legno secco richiede tempo, a volte è meglio fermarsi e riguardare il lavoro dopo qualche giorno, saranno più evidenti quei punti critici dove intervenire per realizzare l’effetto voluto. Si arriva alla conclusione quando dalla base di un tronco per ¾ morto e da due polloni di speranza, osservando il risultato ottenuto, si ha la soddisfazione di pensare “questa è la mia idea che materializza ricordi e pensieri”.
Antonio Tanieli
Socio Bonsai Club Conegliano


